Il primo progetto si instaura come pratica artistica strettamente relazionale: ai familiari e agli ospiti è proposta una collaborazione creativa, per stimolare il recupero di ricordi affettivi e incoraggiare l’interazione tra loro. Come è stato notato dagli operatori, infatti, alcuni familiari sono in difficoltà a relazionarsi con gli ospiti. Questo accadimento è condizionato dalla fatica di collegare una vita scandita, che scorre tra le mura di un istituto per anziani, e un mondo esterno, spesso frenetico e ricco di stimoli sempre nuovi. Si possono generare, dunque, delle lacune nel dialogo, mancando, talvolta interessi da condividere, talvolta iniziativa comunicativa da parte di ospiti in situazione di disagio.
È compito della pratica artistica, in questo caso, cercare di recuperare l’interesse dell’anziano per la comunicazione e creare un comune piano di condivisione tra mondi distanti. Non si tratta, quindi, di disprezzare una condizione piuttosto di un’altra: entrambe le vite che si incontrano hanno il proprio valore nell’ambiente in cui si svolgono, con i loro punti di forza e le loro fragilità. 

Se ci fermiamo alla sola immagine della condizione dell’anziano lacerata dalla solitudine e dalla noncuranza perdiamo di vista la bellezza della fragilità e la dignità dell’anziano: “[…] e invece nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità […].” (Borgna, 2014, p. 3).
L’incontro autentico parla attraverso i gesti, l’espressione del volto e anche attraverso le azioni, quello che Borgna definisce il linguaggio dell’anima, che si sottrae all’indifferenza e al disinteresse. “Quello che rende la vita emozionale premessa ad ogni cura, è il fatto che in essa c’è sempre relazione […].” (Borgna, 2009, p. 22). (Arcaro, 2017, p.8)

Una volta eseguito il laboratorio collaborativo, la produzione ottenuta è, inoltre, destinata ad arredare una parete dell’edificio, andando incontro non solo alle richieste del direttivo, ma anche agli interessi degli ospiti e dei visitatori.
Il laboratorio
Il laboratorio si è svolto in due pomeriggi, a distanza di una settimana l’uno dall’altro, per la durata di un’ora e mezza circa, coinvolgendo sei piccoli gruppi di ospiti e relativi familiari. La stanza di svolgimento dell’attività è stata allestita con alcuni tavoli che permettono la compresenza di due o tre persone attorno ad essi. Per il primo laboratorio, su ogni tavolo è stata sistemata una formella di ceramica cruda, assieme a strumenti di diverse forme, atti ad incidere la ceramica, e a piccoli timbri riportanti lettere dell’alfabeto. Le formelle messe a disposizione sono moduli rettangolari di 30 x 40 cm di ampiezza e 1,5 cm di spessore e triangolari di 30 cm di base x 20 cm di altezza e di 40 cm di base x 15 cm di altezza. Questi ultimi sono stati ricavati dalla divisione, tramite diagonali, dei moduli rettangolari. I moduli sarebbero poi risultati componibili tra loro in diverse posizioni, in modo tale da poterli associare come per formare un villaggio, utilizzando i rettangoli per rappresentare, simbolicamente, gli edifici e i triangoli per rappresentare i tetti.
Una volta che i piccoli gruppi familiari si sono sistemati attorno ai tavoli, è stata esposta loro una breve presentazione del progetto ed è cominciata una raccolta collettiva di informazioni, sensazioni e ricordi verbali sul tema della casa. Ogni parola raccolta è stata scritta su un cartellone appeso alla porta, che ha avuto la funzione di punto di riferimento nel caso alcuni partecipanti si fossero trovati in difficoltà creativa. In seguito, i familiari, assieme agli ospiti, hanno cominciato a personalizzare liberamente le loro formelle, ispirandosi ai concetti precedentemente condivisi. Al di fuori del confronto comune iniziale, non sono state fornite altre informazioni o direzioni per elaborare la propria immagine, in modo da non contaminare l’espressività dei ricordi riaffiorati ad ognuno in maniera differente. Ogni gruppo, infatti, ha elaborato il concetto in un modo unico: Chi ha inciso un albero genealogico, chi si è preoccupato di rappresentare la casa da dentro e chi da fuori… Già nella parte iniziale dell’ideazione dell’opera, la maggior parte dei partecipanti si sono confrontati tra loro, come potevano. Nell’esecuzione, poi, la collaborazione si è accentuata: in cinque di sei gruppi i familiari hanno aiutato e gli anziani, sostenendo o conducendo fisicamente le loro mani nel gesto dell’incisione e suggerendo loro come procedere nel disegno. Ciò si è sorprendentemente verificato anche su ospiti in gravi difficoltà motorie o poco inclini all’intraprendenza e costantemente incentrati sulla loro perdita, come nel caso di un’ex professoressa di belle arti che, con grande dolore, aveva perso la vista: l’attività svolta le ha permesso di condividere nuovamente momenti importanti della sua vita e, in quel momento, di recuperare la fiducia in sé.

“Noi non siamo esistenze chiuse e pietrificate dalla biologia, ma esistenze immerse nelle relazioni con gli altri; e le relazioni interpersonali e sociali condizionano il nostro modi di essere in ogni età della vita.” (Borgna, 2014, p. 63).
Il primo incontro è consistito nell’incisione della ceramica, mentre il secondo nella colorazione, tramite smalti appositi, delle formelle create in precedenza e, nel frattempo, passate in forno per una prima cottura. Per il secondo incontro sono stati messi a disposizione tre colori, per evitare un sovraccarico cromatico nell’assemblaggio finale e una confusione compositiva durante l’attività. I colori, scelti per le loro gradazioni tenui e congeniali agli ospiti con demenza, sono stati il bianco, il verde e il rosa.
A distanza di una settimana dal secondo laboratorio, ai partecipanti è stata rivolta una breve intervista, per verificare l’efficacia della produzione partecipata. Le domande esposte, relative ad un giudizio dell’esperienza, alle emozioni suscitate da essa e ad un’eventuale volontà di ripetere l’attività, hanno ricevuto gli esiti desiderati. In seguito, sono riportate alcune espressioni ricavate dall’intervista ad ospiti e familiari:

“È stato appagante vedere il coinvolgimento di mia madre in un’attività che le è sempre stata congeniale. C’è stata una difficoltà iniziale, che però si è trasformata in bene. Mi sono sentita il tramite per mia madre: non solo ho sollecitato i suoi ricordi, ma ero anche la sua mano, i suoi occhi…” (Familiare)

“Consiglierei certamente questa esperienza ad altri, è un modo per aprirsi e uscire da situazioni di chiusura che il luogo può indurre. È importante entrare nel senso di questa attività e comprenderla insieme” (Familiare)

“Mi è piaciuto tanto, l’ho fatto volentieri e in collaborazione. È stato un momento di spontaneità, lo ripeterei certamente” (Ospite)

“Mio padre è in genere disinteressato alle attività proposte nella struttura. Svolgere questo laboratorio insieme è stata una cosa buona, perché se non ci sono mezzi così è più difficile la comunicazione tra noi. Ci vediamo spesso ma non sappiamo di cosa parlare.” (Familiare)

“Questa esperienza è stata molto positiva, è stata una cosa nuova in cui parlare con mia figlia è stato ottimo, la consiglierei” (Ospite)

“C’era un ambiente relazionale positivo. Con mia madre ho poca possibilità fisica di collaborazione, ma è ogni attività è sempre un modo per starsi vicino. In più, ho potuto collaborare con il mio nipotino, che è stato entusiasta della proposta. Abbiamo scelto insieme e lo ho aiutato” (Familiare)

“L’attività svolta è stata utile, di solito non ci relazioniamo. È stata un’esperienza molto serena” (Ospite)

In seguito al riscontro ottenuto, la pratica relazionale proposta si presenta come riproducibile, anche con diversi materiali e tematiche, in modo tale da poterla rendere ripercorribile come cammino relazionale all’interno dell’istituto e fruibile da altri ospiti della struttura.
L'esposizione
Una volta completata la seconda cottura delle formelle in ceramica, i pezzi sono stati assemblati tra loro ed esposti nella struttura, appendendoli ad una parete. Le varie formelle sono state accostate tra loro come a formare un villaggio, in cui le piastrelle quadrate rappresentano gli edifici e quelle triangolari rappresentano i tetti. Questa scelta compositiva vuole ricordare, in un semplice gesto simbolico, la stessa esperienza che si è verificata durante il laboratorio: la casa è il luogo della relazione, e acquista valore quanto più è condivisa e in comunicazione con le altre. Le formelle sono accostate tra loro e, tutte insieme, formano un edificio unico. Ad essere edificio unico che unisce queste relazioni e questi vissuti, in questo caso, è proprio la casa per anziani: risulta fondamentale, alla fine di questo lavoro, ricondurre l’idea della casa a quello che è l’ambiente abitato nell’oggi. La casa rimarrà, per l’anziano, un luogo interiore, definito da ricordi e da incontri, che, però, può fiorire solo sentendosi al proprio posto nel mondo. Ricordo in merito una poesia di M. H. Clark (2017):

…Tu appartieni al luogo che ami.
E non importa dove te ne andrai:
alla fine di ogni giorno
sarai sempre accanto a me
e io accanto a te.

Per inaugurare l’installazione è stata organizzata una piccola festa, alla quale gli ospiti selezionati, i rispettivi familiari e il resto dei residenti hanno potuto osservare il risultato finale e confrontarsi tra loro. Ora, l’opera si trova in un punto di passaggio, per poter essere oggetto di ricordo e di incontro, non solo per coloro che hanno contribuito alla sua creazione, ma anche per tutti gli ospiti, come piacevole testimonianza che abitare serenamente sia possibile soprattutto tramite l’incontro.

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